Insegna luminosa

Insegna luminosa

sabato 19 dicembre 2020

La questione dei cavalli di Arianna Ulian è un esordio di una bellezza disarmante

L'ho centellinato, questo giro, e me lo sono goduto. Un esordio con i fiocchi, ma così sembra che come sempre io enfatizzi, simpatizzi, tiri l'acqua al mulino. Non è piaggeria, o comunque, prendetela come vi pare, anche se fosse, il consiglio di leggere La questione dei cavalli di Arianna Ulian è spassionato.

Arianna Ulian disegna una Venezia mai vista, scenario di un film western, e solo per questa idea che tutta si tiene e si regge, il libro merita di essere letto. Ma non è solo questo.

C'è un bimbo, Momo, dallo sguardo senza filtri, che vede e soffre della sofferenza dei cavalli, perché appunto, in un western che si rispetti, ci devono essere i cavalli, ma nessuno ha fatto i conti, davvero, con quello che i cavalli a Venezia, possono patire.

Se Momo, così sensibile, ha uno sguardo che incanta, i cavalli hanno una voce e sentirla, attraverso le parole di Arianna Ulian, che le declina in versi, è davvero struggente.

Il regista, le comparse, tutti sono vivi e quando la situazione precipita, non possiamo che partecipare, inermi e disorientati, alla dèbacle, come se fossimo un pubblico di fronte a uno spettacolo tragico.

Con una preziosa nota di Dario Voltolini, il libro, primo titolo della collana Fremen, curata da Giulio Mozzi, edito da Laurana Editore di Milano, ha una grafica elegante ed è appena andato in ristampa.

I cavalli di Arianna Ulian, scalpitando, correranno lontano e la loro autrice, di sicuro, ci regalerà nuove prove altrettanto importanti.



domenica 19 aprile 2020

L'arte sconosciuta del volo di Enrico Fovanna è un romanzo perfetto

Il titolo è lapidario. E quindi potrei anche fermarmi qui.

C'è ne L'arte sconosciuta del volo di Enrico Fovanna (Giunti 2020) un mondo che conosco non proprio di sguincio, perché è a due passi da me. Ambientato nella Premosello dove pure sono nata, si spinge nella Liguria che amo, nella Milano che ho bazzicato, nell'Ossola alta che una mezza "sardina" come me ha sempre guardato circospetta.

Non è solo un giallo, con tutto il rispetto per il genere, non è solo una storia di bambini. Una voce silenziosa e gentile lo anima e, piano piano, addentrandosi nelle paure, dipana un universo oscuro avvolto anch'esso nel silenzio delle chiese e dei cimiteri.

Il paesaggio, non mero fondale, in questo paradiso da cartolina nel quale apparentemente non succede mai nulla, è testimone oculare di fatti efferati. L'omicidio di due bambini.
Il piccolo Tobia, ormai adulto, che ancora sogna di volare come Bob Beamon nell'aria rarefatta di città del Messico del 18 ottobre 1968, assapora l'arte sconosciuta del volo in un viaggio iniziatico a ritroso nella sua infanzia, come un passaggio obbligato attraverso le sue paure e, forse, troverà la forma perfetta della sua, come di tutte, le anime.

mercoledì 1 aprile 2020

La mia casa nel 2018 (ora è già cambiata, come me del resto)

Casa mia è divisa in zona giorno, dove vive il cane, e zona notte, dove vivono le gatte. Come dice anche il proverbio, cane e gatto non vanno d'accordo, sono appunto come il sole e la luna, il giorno e la notte, appunto.
Comunque nella zona giorno, dove c'è la cucina, una volta c'era un garage. Quando abbiamo ristrutturato, per alzare il pavimento a livello del resto della casa e per isolare, abbiamo messo degli igloo di plastica. Non so perché, ma questa cosa di avere in casa gli igloo mi ha esaltata e per un po' dicevo la parola igloo a tutti.
La cucina vera e propria, intesa come mobili e piano cottura e frigorifero e lavandino e forno, occupa un lato e un angolo di quello che era appunto il garage, in mezzo c’è il tavolo. Le gambe del tavolo, che è rotondo e allungabile, sono state mangiate dal cane. Sul frigorifero ci sono, ma questo è un classico, le calamite. La mia preferita è un'aragosta rossa a pois che quando si apre il frigorifero muove le zampette: una si è rotta, quindi l'ho incrociata su un'altra. Accanto alla finestra c’è una libreria: ci ho messo tutti i miei libri di ricette e sopra spenzola una sorta di edera non rampicante, ma cascante appunto. Credo si chiami Cissus.
Tutto il resto è uno spazio aperto, nel centro del quale troneggia una stufa mangiatutto, talmente brutta che mi ci sono affezionata. E' marrone e sulla canna fumaria c'è una corona con quelle bacchettine alle quali, quando la stufa è accesa, noi appendiamo la robettina ad asciugare. Con robettina intendo calze e mutande.
Dall'altro lato della stufa, dove c'è la porta d'ingresso, c'è un divano letto. Lo teniamo insieme con delle fascette da elettricista, altrimenti si aprirebbe. Quando vengono i nostri parenti, noi dormiamo lì e quando è chiuso ci metto sopra dei grossi teli batik, comprati al mare in estate.
Davanti al divano c'è un mobile tondeggiante e sopra il mobile la televisione. La televisione prima era piccola, adesso è gigante e copre quasi del tutto il quadro che si trova appeso alla parete. Il mobile tondeggiante ereditato dalla zia di mio padre, la zia Lisa, un tempo era marrone, poi l’ho fatto laccare di bianco e ho messo dei pomelli colorati sulle ante. Il cane ha rosicchiato anche quelli.
La porta d'ingresso prima era una finestra: è di legno laccato di grigio e al centro ha una finestrella a forma di rombo, di vetro satinato. Ci ho appeso sopra l'effige in terracotta di una divinità che tira fuori la lingua e, accanto, anche un paio maschere di legno: sono sarde e si dice proteggano gli abitanti della casa.
Tra il divano e il mobile della televisione, di fronte alla cucina, c'è una portafinestra che dà su una terrazza che porta al giardino. Un tempo la portafinestra era una finestra e non c'era la terrazza. Accanto alla portafinestra, sul pavimento da un lato ci sono delle orchidee: fioriscono e sfioriscono da alcuni anni e ogni volta che questo si ripete mi sento piena di gratitudine. Invece tra il divano e la porta c’è un ficus, vuole poca acqua, mi ha detto il fiorista quando l’ho comprato: è ancora vivo e anche questo mi stupisce.
Accanto al mobile del televisore c’è un comodino, me l’ha regalato la zia di mio marito, e sopra ho messo una grossa euphorbia, anch’essa viva da quasi un anno.
Nella zona notte, quella delle gatte, ci sono un lungo corridoio, due camere ai lati e un bagno e quello che doveva essere un altro bagno, ma ho finito i soldi della ristrutturazione, così è diventato un ripostiglio. Dentro il ripostiglio c'è anche la lavatrice. La lavatrice quando ha finito di lavare suona una musichetta allegra.
La cameretta più piccola doveva essere quella dei bambini. Ha due lati corti e due lunghi, così è lunga e stretta: per smorzare ho escogitato un effetto ottico, facendo verniciare i lati corti di grigio più scuro del grigio dei lati lunghi. Ho chiesto agli imbianchini di dipingere una striscia rossa fiammante a circa due terzi di altezza della parete lunga che proseguisse poi nel corridoio. Li ho sentiti mentre ero nel bagno, che è proprio accanto, ironizzare sul fatto che come camera dei bambini fosse piuttosto tetra e forse avevano ragione. Comunque nessun bambino in quella camera, alla finestra della quale avevo messo tendoni a strisce bianche e rosse, ha mai dormito finora.
Il bagno è luminoso, come il resto della casa, lì ci sono anche due lettiere per le gatte: gli amici si vedono nel momento del bisogno, non so perché mi viene in mente questa frase, ma la associo al bagno. Ho appeso a un portasciugamani una pianta grassa che quando la innaffio si gonfia e ha dei pallini cascanti. La pianta si chiama Senecio.
In corridoio ho fatto appendere degli adesivi di uccellini di forme diverse che prendono il volo, da sopra la linea rossa. In corridoio c’è la mia libreria. Avevo cominciato a mettere ordine, dividendo i libri per genere e autore quando, con la scusa di timbrarli con il mio ex libris, li ho tirati giù uno alla volta, ma quasi subito mi sono stufata e li ho lasciati così, nel loro disordine dimezzato.
La nostra camera è piuttosto grande e quadrata, una volta avevamo un letto di ferro battuto, poi l’abbiamo sostituito con un uno di legno. Nella camera il pavimento è di graniglia rosa: era quello di mia nonna e non ho voluto cambiarlo, anche se quando cammini a piedi nudi è piuttosto freddo. Sulla finestra ho messo delle tende con un motivo a losanghe, color lavanda: le avevo comprate al mercato equosolidale.
Separa la zona giorno dalla zona notte, oltre a una porta a scrigno, un cancelletto, e il cane cerca di travolgerlo se è chiuso, ma se è aperto, non lo oltrepassa, forse perché quello è il confine invalicabile con un territorio che non gli appartiene, il limite insuperabile tra il giorno e la notte, più probabilmente perché sa che se andasse nella zona notte, i gatti la farebbero nera, di fatto è una cucciolona nera.
Una volta è scappata una delle due gatte, allora abbiamo chiuso l’altra in bagno e il cane in camera, perché la gatta potesse rientrare dalla terrazza. Per paura o per dispetto il cane ha fatto la pipì sul nostro letto. Ce ne siamo accorti a mezzanotte e abbiamo dovuto recuperare il materasso del lettino della cameretta, che però è rimasto sollevato e il nostro letto è diventato simile a quello di un ospedale.
Mio marito si è arrabbiato, io ho riso di quel piccolo incidente animalesco, perché per me le tragedie sono altre.

giovedì 5 marzo 2020

Emanuela Canepa insegna la tempesta

Insegnami la temepesta di Emanuela Canepa, Einaudi Stile Libero Big 2020, è un libro che temevo di leggere, per una serie di motivi che non sto qui a spiegare, e che finalmente ho letto, rimanendone impigliata, e del quale vi scrivo, a caldo, mordendomi le mani, come ho visto fare in un film con Tom Cruise l’altra sera, per non raccontarvi la storia. Che è essenziale e magnifica.
Questa storia, di una madre, di una figlia, di una suora di clausura, è un triangolo acuminato e spinoso, un groviglio nel quale si esasperano i conflitti, i non detti, i non capiti e nel quale il tempo, anziché guarire, appare inesorabile cesoia.
Emanuela Canepa è fine cesellatrice, maestra abile nel portarti dove lei vuole e nel farti credere di saperla lunga, perché a ogni pagina tu pensi di prevedere come si andrà a risolvere tutto. Invece no, non hai proprio capito nulla.
Eppure Emanuela Canepa non è una burattinaia. Non tiene il lettore sospeso a un filo e neppure lo fa con i suoi personaggi, persino con quell’uomo che sta accanto ad Emma e incarna il padre (come mi piace il verbo incarnare riferito a un personaggio), che sono vivi e si muovono, intrappolati in relazioni che noi sperimentiamo sulla pelle, perché sono le nostre.
Scrivo solo, e poi mi fermo, prima davvero di rovinare tutto, che Insegnami la tempesta è una storia necessaria.
Leggerla mi ha fatto sentire più forte.

martedì 3 marzo 2020

Marco Candida incendia l'Eden ligure

In Incendio del bosco, di Marco Candida, TAKRA 2019, Rosa e Fiore, i due protagonisti, rimangono intrappolati in un bosco divorato dalle fiamme. 
L'incendio, il rogo, e qui mi fermo, perché il mio lessico non è così ricco, apocalittico e rabbioso, divora e distrugge, con furore, il parco di Silvano, marito di Rosa. 
I due amanti tentano in maniera rocambolesca la fuga, e nella narrazione si intrecciano, rapidi come le lingue di fuoco che li inseguono, episodi e la narrazione stessa, il Grande Racconto, prende la forma di un torrente tortuoso, diventa appunto torrenziale.
Come si fa a descrivere un bosco, come si fa a descrivere il fuoco, e il fuoco che si nutre del bosco? 
Candida è anche poeta e trova parole e immagini che folgorano, scoppiettando.
E ci si perde tra realtà e finzione, tra fatti talmente assurdi che potrebbero essere veri, che appaiono veri proprio in quanto assurdi. Una rivelazione.

venerdì 28 febbraio 2020

Noi e gli squali di Caterina Bonvicini

Ho comprato L'equilibrio degli squali di Caterina Bonvicini, edito da Garzanti, credo nel 2008, a una presentazione dell'autrice: all'interno c'è una sua dedica: "A Francesca, dal lago, sotto la pioggia. Grazie per essere venuta!".
Deve essere stato al Festival della Letteratura di Mantova di quell'anno. Devo anche aver scambiato qualche parola con l'autrice: probabilmente le ho detto che vengo dal lago.
Certo è che se non avessi aperto il libro, non me ne sarei ricordata.
Questo romanzo è rimasto per dodici anni su uno scaffale, la carta si è leggermente ingiallita, finchè, tra oggi e ieri, l'ho letto.
Ne scrivo ora e non so se si possa dire, in questo caso, a caldo, ma mai come adesso ho pensato che i libri abbiano bisogno non di acquirenti, ma di lettori.
Forse perché certe storie invischiano, forse per quella copertina che ricorda Torino, io so di aver evitato di leggere questo libro.
Deliberatamente.
Eppure in questa storia c'è qualcosa di potente e inafferrabile, una metafora perfetta e mai esplicitata, per fortuna, che non sarò io a rivelare, perchè, semplicemente, mi ci sono trovata incollata, senza riuscire io stessa a definirla.
I luoghi sono così evocativi: lo sguardo di Caterina Bonvicini delinea una Torino che credevo di conoscere bene, ma che ha la luce di una Parigi decadente o di una Praga misteriosa e, insieme, un mare abitato da creature dall'eleganza perfetta, primitiva, dalla fragilità ancestrale.
La storia si stratifica in movimenti spiraliformi, in una sorta di abisso, non è una discesa agli inferi, quanto piuttosto un lento avvicinamento al nucleo più profondo di noi stessi.
Caterina Bonvicini sa illuminare quell'abisso a tratti opalescente di una luce nella quale il mostruoso che lo abita riesce a non fare paura. Ha una sua ragione di esistere.


mercoledì 12 febbraio 2020

Piccolo testamento di Gabriele Dadati tracima di ricordi

Continua il mio viaggio, attraverso la lettura di piccolo testamento, di Gabriele Dadati (Laurana Editore 2011): un libro esile, ma non da poco. Il dolore più forte e acuto lo si avverte, più diventa essenziale nella sua espressione, quasi scarnificato.
Gabriele Dadati narra della malattia e della morte di un amico caro, di un maestro e, che in questo momento io non riesca a ricordarne il nome mi fa pensare sia un nome inventato, forse l'unica operazione di finzione nel romanzo, che  deve sicuramente ispirarsi a una perdita vera.
Quella che nell'amico viene all'inizio scambiata per una grave forma di depressione si rivela essere una malattia che lo porta nell'arco di pochi mesi alla morte.
Il dolore, così misurato nelle parole scelte con cura, ha la dignità del pudore e, più che un testamento, il romanzo rappresenta un monito, un vademecum di consigli, non mellifluo, un bagaglio di ricordi delle cose piccole, come i momenti vissuti insieme in un B&b gestito da un indiano, che nella loro tragicomicità riescono a strappare il sorriso.
Così l'immagine di questo giovane uomo che guarda i bicchieri nella casa dove si è appena trasferito e non riesce a distinguere quello nel quale ha bevuto il suo maestro, risulta semplice e potente allo stesso tempo.
Al giovane scrittore che si recava da lui a leggergli i suoi racconti, l'amico e maestro consigliava di leggersi sempre a voce alta, per trovare gli inciampi. Dadati, che impara a convivere con il suo fantasma buono, congeda anche un amore e si ritrova, all'alba di una lunga notte, scrittore orfano di chi, più di tutti, voleva ascoltasse la sua voce.

domenica 9 febbraio 2020

L'animale femmina di Emanuela Canepa seduce senza volerlo

Ho finito oggi di leggere L'animale femmina di Emanuela Canepa, edito nel 2018 per Einaudi Editore. 
Sto diventando una lettrice pigra e molto selettiva e devo dire che inizialmente mi sono chiesta cosa mi facesse andare avanti nella lettura di questo romanzo, che ha vinto all'unanimità l'edizione 2017 del premio Calvino. 
Avranno capito i pochi lettori di questo blog che le mie recensioni, del tutto prive di competenza letteraria, hanno solo una valenza emotiva. Quello che cerco nella lettura è soprattutto il piacere fine a sè stesso. 
La storia è raccontata in presa diretta, in prima persona singolare, al presente, da una giovane donna fuori corso, che si è trasferita dal Sud a Padova, forse più che per studiare medicina, per fuggire una madre che le toglie l'aria, la soffoca.
Non posso raccontare la trama, che adesso si dice spoilerare. 
Non posso togliervi il piacere di ritrovarvi a strappare il tempo alla lettura, sempre più catturati, impastoiati, da un gioco di seduzione che a poco a poco si ribalta e che diventa, sotto i nostri occhi, un lento cammino di liberazione e autodeterminazione e non solo della protagonista. 
Una scrittura, quella di Emanuela Canepa, che è insieme fresca e matura e che getta una luce inedita sull'amore, come farebbe una divinità senza età che sa guardare, dall'ombra, il bello.

lunedì 27 gennaio 2020

Il mio anno alla Bottega di Narrazione

Ho frequentato in questo anno e qualche mese una Bottega. Non una a caso, ma la Bottega di Narrazione di Milano, diretta da Giulio Mozzi e nella quale insegnano pure Emanuela Canepa, Massimo Cassani, Gabriele Dadati, Claudia Grendene, Fiammetta Palpati, Demetrio Paolin, Simone Salomoni, Giorgia Tribuiani e Giovanni Zucca.
Durante questo anno ho scritto un romanzo del quale cercherò di non parlare. Cercherò di stare muta come un pesce, perché non è questo che mi interessa qui ed ora.
Mi preme ringraziare i miei insegnanti e i miei compagni di corso.
Tornare sui banchi è stata un'esperienza formidabile.
Sono stata aiutata in una maniera così delicata che non potevo immaginare, seguita, coccolata, ascoltata, vista, stimolata.
Alla Bottega di Narrazione di Milano si parla di libri e di storie e di immaginari e gli immaginari prendono forma e diventano storie e forse anche libri.
Ma è tutto reale e soprattutto onesto, perché ieri Giulio Mozzi, Giulio questo uomo magico e buono, ha tenuto per noi una lunga lezione sul mondo dell'editoria e poi ci ha dato, con estrema franchezza, con grande senso dell'umanità, un consiglio.
Se mai un giorno noi pubblicheremo un libro, quel giorno, il giorno nel quale il nostro libro uscirà, ci ha consigliato Giulio Mozzi, di andare in una libreria dell'usato e di leggere i nomi degli autori dei quali si è oggi persa la memoria.
Un memento mori struggente, un requiem all'autore dimenticato che un giorno noi potremmo diventare.
Ecco questo pensiero mi è sembrato leggero e nobile allo stesso tempo. Mi sono sentita coi piedi ben piantati, ancorati alla terra.
Così, comunque andrà, sia che il mio romanzo diventi un giorno un libro, veda la luce, sia che no, questo andare alla Bottega, che è mio, come solo l'aver cercato di imparare un'arte può essere, ha avuto un senso.