Il giro del miele, di Sandro Campani, Einaudi 2017, è un libro del
quale scrivo a caldo, avendolo letto in poco più di dodici ore, senza riuscire
a staccarmene.
Avendolo appena finito e con il
desiderio di rileggerlo.
Mi ha ricordato una scena
ipnotica di un film visto da piccola: un attore che infila monetine in un
bicchiere colmo, una alla volta, in una sfida a chi vince non facendolo traboccare.
I personaggi de Il giro del miele
fanno questo, per me, in una notte, davanti al fuoco del camino, la lince fuori
ad aspettarli, si raccontano e raccontano, spostando le tacche su una bottiglia
di grappa, e la lettura si fa vigile, attenta, nonostante l’ora tarda, perché
la tensione sale.
Lo sguardo di Sandro Campani che,
di notte, ci fa vedere i mostri nei tronchi dei castagni, non infierisce sulla
disperazione dei santi “pieni di schifo e di mostruosità”. È indulgente, ma non
compassionevole. Generoso.
Fuori dalla stanza nella quale
Davide e Giampiero consumano la sfida, si temono, si guardano come un figlio a un padre, o come due assassini, la luce si alza sull’appennino tosco-emiliano, che a noi può apparire ruvido, ma è perché lo abbiamo sentito, finanche al tatto.
Naturalmente le mie associazioni di idee sono totalmente inaffidabili.
Sandro Campani mi perdonerà....
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