Insegna luminosa

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venerdì 14 novembre 2014

Cronaca di una morte annunciata



La morte annunciata non è quella di Topo Gigio, che resiste.
Sul declassamento di un DEA nella provincia si sta dicendo e scrivendo molto.
Anche noi vorremmo contribuire, sperando di non scadere nella banalità e di non attizzare la cenere, ma con la solita vis polemica.
Fioriscono proverbi e titoli: "non ci resta che piangere" ha scritto qualcuno (non il solito qualcuno, un altro qualcuno), "chi è causa del suo male pianga sé stesso", parole di qualcun altro.
Al di là della posizione imbarazzante di “nostri” politici, della quale, francamente ce ne infischiamo, il problema è che la questione non solo divide (e chi impera sa quanto sia vantaggioso) un territorio già diviso su posizioni campanilistiche, ma si gioca sulla pellaccia dei cittadini che non sono solo un bacino importante, anche se solo grande come un quartiere di Torino, di voti.
Ora diciamo la nostra.
Partiti in quarta a difendere a spada tratta il Castelli di Verbania, sul quale si sta per calare la “mannaia” dei tagli alla Sanità (che sono probabilmente tagli agli sprechi, ai carrozzoni malfunzionanti, ai medici “marchettari”), ma che sono anche tagli ai servizi al cittadino per il quale la salute è un diritto inalienabile sancito dalla Costituzione, abbiamo fatto un incontro illuminante e fortunato (sembra una favola, ma ormai avete capito che a noi le favole piacciono assai).
Uno di noi, non a caso, esperto di emergenze, ci ha raccontato come in realtà funzionino le cose, dall’interno: a Verbania due medici al DEA, a Domo la stessa cosa, un medico al pronto soccorso di Omegna, per un totale di cinque unità (quando al DEA delle Molinette di Torino si alternano due o tre medici). Il problema è che comunque se hai bisogno dello specialista, sfumato ormai il progetto dell’Ospedale Unico (sempre per le sopracitate guerre da “salviamo il nostro orto, che siamo i più bravi”), devi aspettare che arrivi, e se ti capita sotto le feste, comunque arriva dopo il lauto pranzo, piuttosto imbufalito, perché gli hai rovinato la digestione.
Domodossola è agguerrita, gli Ossolani scendono in piazza, a Verbania gli puoi passare sopra con una ruspa e non si fanno sentire. Ma non è questo il punto.
Il punto è che cosa sia davvero meglio per i cittadini e non per il territorio, che è un’entità astratta della quale i soliti noti si riempiono la bocca, che cosa sia più funzionale, come assicurare una capillare ed efficiente risposta alle emergenze, senza creare cittadini di serie A e di serie B, senza costruire altre cattedrali nel deserto, ma assicurando standard qualitativi alti nell’assistenza sanitaria, nonostante le difficoltà logistiche.
Altra questione spinosa è il punto nascite: da tempo il nostro (sempre lui), sostiene che si sia creata l’ennesima buffonata. I parametri numerici dettati in primis dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), per garantire una minima sicurezza sono di almeno 1000 parti all’anno: Domo e Verbania, insieme, non sono in grado di rispettarli con una media rispettivamente di poco più di 200 e sotto i 500 parti all’anno, quindi ben al di sotto della soglia. 
L’arroccamento su posizioni campanilistiche ha fatto sì che si sia creata la situazione per la quale vengono appunto assoldati professionisti a contratto che arrivano anche da lontano, non conoscono le pazienti e per ridurre al minimo i rischi di un lungo travaglio, effettuano il cesareo.
Ancora qualche dato: la percentuale di cesarei che sempre l’OMS giudica corretta è di circa il 15%, in Italia la media è 25% alzata sopratutto dalle strutture del centro-sud, attualmente Verbania si assesta sul  27%, Domodossola al 41%, con le conseguenze che i parti naturali nel VCO sono statisticamente molto bassi.
Domo si è messa nelle condizioni di vincere questa “battaglia”, con le sale operatorie rinnovate da poco, il reparto di Rianimazione con posti letto superiori a quelli di Verbania e la recente apertura dell’ emodinamica.
Dovrebbero scattare gli applausi o i fischi a seconda di chi fa il tifo.
In noi scatta solo la molla della paura e il senso di sconforto, perché, per l’ennesima volta ci siamo fatti fregare e non sappiamo neanche da chi.
Questo genera rabbia (ed è un sentimento condiviso): perché quando non sai chi ti sta fregando, il primo che becchi gli fai un paiolo grosso come una casa, poi ti accorgi che non c’entra nulla, che era colpa di un altro, ma il danno ormai l’hai fatto.
È la legge dei disperati, e chi è malato, spesso è, tra le altre cose, anche disperato.
Chiediamo che non si giochi ancora una volta sulla nostra pelle, perché anche se quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, è anche vero che gli scherzi sono belli quando durano poco.
Chi ha orecchie per intendere, intenda!

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