La morte annunciata non è quella di Topo Gigio, che resiste.
Sul
declassamento di un DEA nella provincia si sta dicendo e scrivendo molto.
Anche
noi vorremmo contribuire, sperando di non scadere nella banalità e di non
attizzare la cenere, ma con la solita vis
polemica.
Fioriscono
proverbi e titoli: "non ci resta che piangere" ha scritto qualcuno (non il solito
qualcuno, un altro qualcuno), "chi è causa del suo male pianga sé stesso", parole
di qualcun altro.
Al
di là della posizione imbarazzante di “nostri” politici, della quale,
francamente ce ne infischiamo, il problema è che la questione non solo divide
(e chi impera sa quanto sia vantaggioso) un territorio già diviso su posizioni
campanilistiche, ma si gioca sulla pellaccia dei cittadini che non sono solo un
bacino importante, anche se solo grande come un quartiere di Torino, di voti.
Ora
diciamo la nostra.
Partiti
in quarta a difendere a spada tratta il Castelli di Verbania, sul quale si sta
per calare la “mannaia” dei tagli alla Sanità (che sono probabilmente tagli
agli sprechi, ai carrozzoni malfunzionanti, ai medici “marchettari”), ma che
sono anche tagli ai servizi al cittadino per il quale la salute è un diritto
inalienabile sancito dalla Costituzione, abbiamo fatto un incontro illuminante e
fortunato (sembra una favola, ma ormai avete capito che a noi le favole
piacciono assai).
Uno
di noi, non a caso, esperto di emergenze, ci ha raccontato come in realtà
funzionino le cose, dall’interno: a Verbania due medici al DEA, a Domo la
stessa cosa, un medico al pronto soccorso di Omegna, per un totale di cinque
unità (quando al DEA delle Molinette di Torino si alternano due o tre medici).
Il problema è che comunque se hai bisogno dello specialista, sfumato ormai il
progetto dell’Ospedale Unico (sempre per le sopracitate guerre da “salviamo il
nostro orto, che siamo i più bravi”), devi aspettare che arrivi, e se ti capita
sotto le feste, comunque arriva dopo il lauto pranzo, piuttosto imbufalito,
perché gli hai rovinato la digestione.
Domodossola
è agguerrita, gli Ossolani scendono in piazza, a Verbania gli puoi passare
sopra con una ruspa e non si fanno sentire. Ma non è questo il punto.
Il
punto è che cosa sia davvero meglio per i cittadini e non per il territorio,
che è un’entità astratta della quale i soliti noti si riempiono la bocca, che
cosa sia più funzionale, come assicurare una capillare ed efficiente risposta
alle emergenze, senza creare cittadini di serie A e di serie B, senza costruire
altre cattedrali nel deserto, ma assicurando standard qualitativi alti
nell’assistenza sanitaria, nonostante le difficoltà logistiche.
Altra
questione spinosa è il punto nascite: da tempo il nostro (sempre lui), sostiene
che si sia creata l’ennesima buffonata. I parametri numerici dettati in primis
dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), per garantire una minima
sicurezza sono di almeno 1000 parti all’anno: Domo e Verbania, insieme, non sono in grado di
rispettarli con una media rispettivamente di poco
più di 200 e sotto i 500 parti all’anno, quindi ben al di sotto della soglia.
L’arroccamento su posizioni campanilistiche ha fatto sì che si sia creata la
situazione per la quale vengono appunto assoldati professionisti a contratto
che arrivano anche da lontano, non conoscono le pazienti e per ridurre al minimo i rischi di un lungo travaglio, effettuano il cesareo.
Ancora qualche dato: la percentuale di cesarei che sempre l’OMS
giudica corretta è di circa il 15%, in Italia la media è 25% alzata sopratutto dalle strutture del centro-sud, attualmente Verbania si assesta sul 27%, Domodossola al 41%, con le conseguenze che i parti naturali
nel VCO sono statisticamente molto bassi.
Domo
si è messa nelle condizioni di vincere questa “battaglia”, con le sale
operatorie rinnovate da poco, il reparto di Rianimazione con posti letto
superiori a quelli di Verbania e la recente apertura dell’ emodinamica.
Dovrebbero
scattare gli applausi o i fischi a seconda di chi fa il tifo.
In
noi scatta solo la molla della paura e il senso di sconforto, perché, per
l’ennesima volta ci siamo fatti fregare e non sappiamo neanche da chi.
Questo
genera rabbia (ed è un sentimento condiviso): perché quando non sai chi ti sta
fregando, il primo che becchi gli fai un paiolo grosso come una casa, poi ti
accorgi che non c’entra nulla, che era colpa di un altro, ma il danno ormai
l’hai fatto.
È la
legge dei disperati, e chi è malato, spesso è, tra le altre cose, anche disperato.
Chiediamo
che non si giochi ancora una volta sulla nostra pelle, perché anche se quando il
gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, è anche vero che gli scherzi sono
belli quando durano poco.
Chi
ha orecchie per intendere, intenda!
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